Jonathan Safran Foer
Possiamo salvare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi
Guanda editore, 201
L'autore
Jonathan Safran Foer è nato a Washington nel 1977 e vive a New York. Ha esordito a venticinque anni con "Ogni cosa è illuminata" (2002), best seller internazionale e vincitore del National Jewish Book Award e del Guardian First Book Award. Dal libro è stato tratto uno straordinario film di successo [https://www.mymovies.it/film/2005/ognicosaeilluminata/]
Jonathan Safran Foer ha poi alternato la scrittura di romanzi: "Molto forte, incredibilmente vicino" (2005), "Eccomi" (2016) alla stesura di saggi su temi ambientali: "Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?" (2010). Per altre notizie sull’autore si può vedere Wikipedia [https://it.wikipedia.org/wiki/Jonathan_Safran_Foer] o su facebook [https://www.facebook.com/JSFoer/].
Il libro
“I cambiamenti climatici rappresentano la più grande crisi che l’umanità si sia mai trovata davanti e si tratta di una crisi che saremo sempre chiamati a risolvere insieme e contemporaneamente ad affrontare da soli.
Non possiamo mantenere il tipo di alimentazione cui siamo abituati e al tempo stesso mantenere il pianeta cui siamo abituati.”
In questo libro l’autore esplora il dilemma globale al centro del nostro tempo in modo sorprendentemente originale, personale e urgente. Il compito di salvare il pianeta comporterà una totale resa dei conti con noi stessi, con la nostra fin troppo umana riluttanza a sacrificare il comfort immediato per il bene del futuro.
Dice Safran Foer che abbiamo trasformato il nostro pianeta in una fattoria per la coltivazione di prodotti animali, e le conseguenze sono catastrofiche. Solo un'azione collettiva salverà la nostra casa. E tutto inizia con ciò che mangiamo - e non mangiamo - nei nostri pasti.
Simonetta Pagliani su “Scienza in rete” https://www.scienzainrete.it/ scrive,in una recensione di questo libro
<<L'idea che i cambiamenti climatici finiranno per estinguere il genere umano è spaventosa, proprio perché deflagra nel nucleo stesso del baratto che la coscienza elabora tra la rassegnazione alla mortalità individuale e la speranza di conservare la propria impronta genetica sul pianeta. Forse è questa paura, di rientrare nel buio cosmico da cui siamo stati tratti, che sostiene la ricerca e la divulgazione di così tanti studiosi che, pure, hanno un’età che pone essi stessi (e anche i figli) fuori dalla portata delle loro conseguenze. È emblematico il caso del novantatreenne David Attenborough, uno dei massimi divulgatori scientifici a livello mondiale, che continua a fare documentari (“Our Planet” è ora su Netflix) per ricordare alla gente la meraviglia del mondo “Se non riesci a coglierla, o se non te ne importa nulla- egli dice- non farai mai nulla per proteggerlo ".>>
Lo stesso autore a un certo punto scrive:
Questo libro parla dell’impatto dell’allevamento sull’ambiente. Eppure, sono riuscito a nasconderlo per le 75 pagine precedenti. Mi sono tenuto alla larga da questo tema per (...) la paura che sia una battaglia persa in partenza (...) A parte i vegani, nessuno muore dalla voglia di affrontare l’argomento e il fatto che i vegani ne abbiano voglia costituisce un ulteriore disincentivo (...) adesso dirò le cose come stanno: non possiamo salvare il pianeta se non riduciamo in modo significativo il nostro consumo di prodotti di origine animale
Nel libro, i dati inoppugnabili a supporto delle sue affermazioni sono condensati in circa 25 pagine, ma sono il risultato di una ricerca condotta per due anni. Questi dati sono di grande impatto, un vero e proprio pugno nello stomaco e suscitano incredulità, orrore e probabilmente ricerca di vie di fuga irrazionali.
Eppure, da tempo gli scienziati erano consapevoli del problema ben prima dell’uscita di questo libro. Nel 2015, una commissione scientifica indipendente, aveva portato, nell’autorevolissima rivista medica Lancet, nella sua relazione sulla salute planetaria, prove molto consistenti di come gran parte del cambiamento climatico (nonché della perdita della biodiversità e del consumo di acqua) sia da imputare alla produzione di cibo.
L’autore chiarisce, con una prosa lieve e leggibile, che conoscere non vuol dire credere e questo è il dramma di noi abitanti del mondo occidentale che, pur sapendo, non riusciamo a credere fino in fondo alla tragedia del collasso climatico che si avvicina rapidamente. Safran Foer racconta, in questo processo per cui si deve riuscire a sapere e credere veramente, con pancia e testa si potrebbe dire, anche il suo personale percorso di avvicinamento in una continua lotta con le proprie abitudini e desideri.