Anamei

Los Guardianes del bosque

Genere: Documentario

Anno: 2021locandina ANAMEI

Durata: 66’

Paese: Italia - Perù

Regista: Alessandro Galassi

Interprete principale: Yésica Patiachi, insegnante Harakbut

Altri interpreti: il mito di Anamei è animato e letto dalla poetessa Ana Varela Tafur. I disegni sono realizzati da bambini Harakbut.

Produttore: Alessandro Galassi

Musica: Deka feat. Volta, Antonia Harper, Francesco Landucci

Fotografia: Alessandro Galassi

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=OtbZl6mjDuA

Regista

Filmmaker e documentarista. Vive e lavora tra Roma e Città del Messico dove è socio fondatore di Lum arte y media ed è il corrispondente di RAI Italia. In Italia ha collaborato con Rai3, Rai1, Rai Cultura, Corriere della Sera, Università La Sapienza, Endemol, Magnolia. Tra i documentari più importanti ha realizzato Il posto della Neve (Rai Cinema), Fronteras (Rai3), Sassi (Corriere della Sera). http://alegalassi.it/

Il film (trama e problematiche affrontate)

Anamei, secondo la tradizione degli Harakbut (popolo dell’Amazzonia peruviana che vive sulle rive del fiume Madre de Dios e Inambari), è l'albero che ha salvato il popolo dall'incendio che stava distruggendo il mondo. Ora la popolazione Harakbut rischia l’estinzione a causa dell’estrazione dell’oro, con miniere illegali che stanno cancellando Yesicaettari di foresta.

Amamei, raccontato da Yésica Patiachi, diventa così il simbolo della resistenza dell’Amazzonia e degli indigeni che vi abitano. 

Il regista in una intervista ha detto di aver potuto fare esperienza del fatto che davvero tutto è connesso, dell'ecologia integrale. Se non rispettiamo la madre terra, non rispettiamo la vita, le persone, i diritti dei lavoratori delle miniere dove viene estratto l’oro illegalmente. Non c'è in ballo solo la distruzione della natura - scandisce - ma dell'essere umano. L'ho visto nelle ragazzine che si prostituivano nei villaggi, nei ragazzi che guadagnano pochi soldi nelle miniere.

Prima era il caucciù, ora sono le miniere clandestine - hanno ingoiato oltre 50mila ettari di foresta - a mutilare la selva e i suoi miniere a cielo apertopopoli. Gran parte della riserva della Tampobata è stata trasformata in una landa di terra screpolata. Insieme agli alberi, il metallo prezioso divora le vite di centinaia di migliaia di donne e uomini, ostaggio del lavoro schiavo e della prostituzione forzata. Madre de Dios è la metafora concreta di quanto crisi ambientale e crisi sociale siano intimamente collegate. Non tutto, però, è perduto: questo emerge dalla poesia di cui il documentario si nutre e che sapientemente restituisce, con uno stile sobrio, senza sensazionalismi.foto di un indio a Roma

Il film si articola in quattro blocchi narrativi, e racconta la febbre dell’oro nel dipartimento peruviano di Madre de Dios, il viaggio di Papa Francesco proprio in quelle terre, con la visita a Puerto Maldonado, il Sinodo dell’Amazzonia, con le voci di alcuni indigeni partecipanti, infine il dramma della pandemia per le popolazioni amazzoniche e il messaggio di Francesco nella piazza San Pietro deserta.

A fare da epilogo al documentario c’è un pezzo rap in cui un giovane indios racconta la pandemia e l’importanza di proteggere le popolazioni indigene e tutto il pianeta. Si chiama Eler Gabriel Rojas, ma si fa chiamare Gasel, “Gabriel of the Jungle”, spiega il regista, L’ho trovato in rete. La canzone, Ante el Covid, è stata finanziata dall’associazione Amazonia 2.0. L’ho contattato per chiedergli i diritti e ho scoperto che lui, pur non essendo dello stesso popolo, è della stessa regione dell’Amazzonia peruviana, Madre de dios. È stato un incontro incredibile: tutto succede, tutto si deve incastrare in qualche modo. La canzone parla anche di questo. Era il finale perfetto.

Triciclo – luglio 2022

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